Inauguriamo per questa settimana una trilogia sul celebrity branding: quali strategie di marketing vi sono alla base delle icone e delle celebrità della pop culture oggi?
Oggi vorremmo parlarvi (brevemente) del rapporto che intercorre tra testimonial e brand, del suo valore nel porre in essere una campagna di comunicazione, cercando di contestualizzarlo in una “situazione” di sovraesposizione del primo e delle potenziali ricadute che il brand in questione può sortire.
Più nello specifico, parleremo del testimonial per eccezione, Belen Rodriguez, che in un certo qual senso è “volutamente” inserita all’interno di una sovraesposizione mediatica, e come in questa situazione vada a beneficiare o meno il brand di telefonia mobile TIM.
Le ragioni per un testimonial: identificazione e fiducia
Colin Bates definisce il brand come un insieme di percezioni nella mente dei consumatori, mettendo in evidenza che il brand assume una valenza intagibile dovuta alle continue e fluttuanti percezioni provenienti dall’ambiente azienda-pubblico.
Uno tra i tanti motivi per cui un’azienda ricorre alla figura del testimonial è riconoscersi in una pratica di un modello identificativo a livello di brand image, ed al contempo essere garante di un’approvazione, di una certificazione di "fiducia" che "veste" i panni del personaggio famoso.
Il professore Giovanni Siri, (Professore Ordinario di Psicologia dei Consumi all'Università S. Raffaele di Milano) sostiene che in Italia la presenza del testimonial è forte per la propensione ad umanizzare i prodotti ed il consumo: non a caso oggi prevalgono modelli della commedia all'italiana che sembrano dire che alla fine “siamo tutti umani”.
In merito all'argomento, Aldo Grasso (professore, giornalista e critico televisivo de il "Corriere della Sera") tempo fa parlava della teoria de "lo spauracchio del cannibalismo", un problema noto e studiato da anni, che si può riassumere brevemente così: dopo una prolungata esposizione pubblicitaria, il pubblico dei consumatori si affeziona talmente al testimonial da ricordare solamente lui, e non fa più caso alla "marca".
La diluizione della brand image
Ed è qui che si inserisce il caso "Belen Rodriguez". La nota showgirl nell'ultimo periodo ricopre il ruolo di testimonial di diverse realtà semantiche e merceologiche (calcio, pallavolo, moto, abbigliamento intimo ed altro ancora), provocando una moltiplicazione ed una diluizione dei suoiambiti valoriali che vede il brand Tim contendersi e dividersi la sua immagine con altri e non più in via esclusiva.
Come se non bastasse, Belen è stata di recente al centro di polveroni del gossip, dal Festival di Sanremo alle inchieste milanesi sulla droga, senza dimenticare le polemiche sul comportamento del suo ex fidanzato Fabrizio Corona.
Nonostante ciò, la bella modella è senza dubbio la più richiesta, un vero ciclone nel mondo dei testimonial; a tal punto che la sua notorietà investe anche la sua giovane sorella. In conclusione, se il concetto di testimonial - come detto in precedenza - riveste la persona-simbolo di "fiducia", un valore oramai preso in consegna dal prosumer, cosa dovrebbe "trasmettere" un testimonial che oramai è in sovraesposizione mediatica? E' ancora valido il significato intrinseco di fiducia nel testimonial nel momento in cui non ha più un'identità dai confini precisi?
Se è vero che spesso il testimonial rappresenta una scorciatoia per velocizzare la notorietà del marchio, ma non sempre funziona (quando ci si ricorda il personaggio e non il brand o il suo messaggio), è ancora giusto proseguire lungo la strada tracciata dal "vecchio" marketing?
Nuove strategie per il transfer valoriale
L'uso del testimonial permette di fare riferimento ad un universo di valori tangibili ed intagibili che in qualche modo si "trasferiscono" sul brand che viene pubblicizzato, un cofanetto da “custodire” e preservare per differenziarsi dagli altri.
Infine, un ultima provocazione: cosa potrebbe succedere al brand se l’azione dello storytelling venisse decentrata verso altre narrazioni legate più alla cronoca rosa del testimonial, piuttosto che verso un linguaggio comune derivato dalla fusione di brand ed esperienza?
Avete visto l'ultimissimo spot televisivo della Tim andato in onda per la prima volta il 30 ottobre? Alla fine, la Rodriguez accenna la famosa "grazie per la fiducia"...direi che è il caso di riflettere sul significato epistemologico della parola "fiducia", prima di andare tanto lontano, nello sconfinato mondo del 2.0! Cosa ne pensate?
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