L’Italia, si sa, è un paese strano: fa di tutto perché le eccellenze che molte volte nascono al proprio interno non siano adeguatamente sostenute. Numerosi sono i casi che continuamente confermano questo quotidiano paradosso.
L'ultimo tra i tanti riguarda il blocco dei fondi per la copertura dell’intero territorio nazionale di quella che è oramai un’infrastruttura cardine dell’attuale società: mi riferisco alla banda larga. Un problema già risolto in altre nazioni e con tempi relativamente brevi – anche se sarebbe opportuno dire con la necessaria lungimiranza. Ancora una mancanza per quanto riguarda lo sviluppo del nostro paese.
Il problema dell’accesso ad Internet, del digital divide, della necessità di rimuovere le ultime sacche di analfabetismo digitale nel nostro paese se lo sono posti, invece, come mission i ragazzi del Freaknet MediaLab di Catania.
Collettivo di appassionati che con caparbietà e spirito innovativo – superando non poche difficoltà, spesso non solo di natura organizzativa – non solo hanno cercato in questi anni di portare avanti delle battaglie politiche in questo senso ma sono andati ben oltre.
Con la volontà di chi ha intenzione di cambiare le cose hanno, quindi, sviluppato un sistema di rete non gerarchizzato, autonomo, anarchico e libero. In un territorio, guarda caso, come quello meridionale dove il digital divide e la mancanza della banda larga rappresentano problemi ancora lontani dall’essere risolti. Cerchiamo, quindi, di capire meglio di cosa si tratta. Si chiama “Netsukuku” ed è stato definito dall’Unesco come l’innovazione che potrebbe risolvere il problema dell’accesso ad Internet, a livello globale, e di conseguenza eliminare il “digital divide”.
È difficile, se non impossibile, per me avventurarmi nello specifico di una spiegazione tecnica, commetterei degli errori non di poco conto e rischierei, sicuramente, di rendere la lettura noiosa proprio per le mie scarse conoscenze in materia. Chi vuole approfondire questo aspetto può addentrarsi nel funzionamento di Netsukuku grazie a Wikipedia. Ciò che, invece, ritengo importate sottolineare è l’idea che sta dietro a tutto l’impianto puramente informatico-matematico. Ovvero, il principio della condivisione basato sul caro e noto sistema peer-to-peer.
Una condivisione, in questo caso di nodi, che sfrutta la connessione wi-fi: in pratica ognuno di noi con la propria connessione diventerebbe un router e grazie al reciproco sostegno delle nostre connessioni Netsukuku riuscirebbe a garantire il proprio funzionamento. Proprio questo meccanismo permetterebbe di rendere gratuito l’accesso alla rete.
Un’autentica rivoluzione, che necessita una riflessione, appunto, da condividere e portare avanti anche con voi proprio per le importanti implicazioni sociali che Netsukuku porta con se. Un’economia del dono versus un’economia monetaria, per citare Hakim Bey ed anche Chris Anderson.
Eppure per noi abitanti di questo limbo, titubanti nel definire se siamo oramai esseri digitali oppure no, non possono non esserci dei turbamenti, delle ansie proprio in merito a questo progressivo consolidamento di nuove forme di socialità sempre più indefinibili su piani diversi.
Preoccupazioni che, però, portano anche a delle possibilità. Una fra tutte è quella di progettare e costruire il prossimo futuro digitale in maniera chiara, definita e volta alla condivisione, all’accesso garantito e libero. Netsukuku ne è un esempio, un punto di partenza per porsi alcune domande:
Quanto siamo pronti a sostenere relazioni sociali sempre più basate sulla compenetrazione tra virtuale e reale?
Siamo un’umanità abbastanza matura da non confondere la libertà, l’anonimato che una rete come Netsukuku ci offre con il più bieco libertinaggio? Siamo, dunque, realmente capaci di autoregolarci?
Aspettiamo le vostre risposte per un dibattito costruttivo.