La vita di Jackson Pollock è tormento allo stato puro, costellata da crisi depressive, alcool e anni di terapia psicanalitica per provare a rimettere insieme i pezzi della sua vita.
Gli anni che contano, per la sua produzione artistica, sono gli ultimi. A precederli è una ricerca febbrile, in cui prende forma la convinzione che l’inconscio sia il grande serbatoio di ogni forza vitale cui solo con l’arte si attinge, in cui si addensano, quasi fossero una nube tossica, la nevrosi e la violenza destinate a esplodere nell’ultimo decennio della sua vita.
Massimo esponente dell’action painting americana, la poetica di Pollock mette definitivamente in ginocchio l’America puritana, fiera del suo ordine e della sua produttività: non si vive per produrre, per fare, ma si fa per vivere. E allora l’esistenza bisogna costruirsela, perché prima del gesto umano, del gesto pittorico, non esiste spazio in cui correre, né aria in cui respirare, né tempo in cui invecchiare.
Costruire partendo da zero, dal punto che genera il mondo, dalla goccia che egli lascia cadere sulla tela.
La sua tecnica del dripping - letteralmente lo sgocciolamento del colore sulla tela - attraverso secchi di vernice forati, pennelli o bastoncini di legno intinti negli smalti o nelle vernici industriali, lascia un margine al caso: perché non c’è esistenza senza caso e, l’unica strada per la salvezza è trovare e seguire quel ritmo – ognuno il proprio - che ci faccia vivere il caso con lucidità.
E dato che per Pollock dipingere è un modo di essere, fateci vedere chi siete !
Divertitevi !
Articolo originale di Gabriella Torre